Esperienze Extracorporee (OBE): quando la mente sorpassa il corpo. La mia esperienza.
Le esperienze extracorporee, note come OBE (Out-of-Body Experiences), sono fenomeni in cui una persona ha la sensazione di separarsi dal proprio corpo fisico e di osservare se stessa e l’ambiente circostante da una prospettiva al di fuori.
Queste esperienze, spesso associate a uno stato di coscienza alterato, hanno affascinato l’umanità per secoli. In questo articolo, esploreremo il mio racconto di un’esperienza extracorporea che ho vissuto dopo aver raggiunto un’altitudine di 6700 metri in Himalaya.
La mia Esperienza nel Contesto dell’Altitudine
Ecco Il mio racconto estrapolato dal libro “Il Cercatore la mia storia di crescita attraverso lo sport nella natura selvaggia”, realizzato insieme a Elisa Racchetti.
Ci svegliamo alle tre, l’interno della tenda è ghiacciato, e anche la superficie del borsone è congelata. Danno bel tempo, Mario una delle 2 guide decide che la giornata è propizia, possiamo affrontare l’ultimo chilometro verso il cielo. I portatori dormono ancora e mangio qualche barretta per colazione. La nostra guida ci divide in due cordate, una la guida lui, l’altra Giulio. Io sono secondo, dopo Mario.
Cominciamo l’ascesa, fa molto freddo e per fortuna non c’è vento. La notte è illuminata dalla catena delle cime himalayane: la neve delle vette riflette il chiarore lunare. Come in un misterioso gioco di specchi le montagne sembrano brillare di luce propria.
Incediamo lentamente, un passo, poi un altro, fino ad arrivare a dodici, quando ci si ferma a prendere fiato. È la tecnica che si usa in alta quota. Ho freddo ai piedi, dico a Mario che ho fatto un errore a non mettere un paio di calze in più. Mi rassicura: tra poco arriverà la luce del sole, la temperatura salirà.
Ho un momento di difficoltà, mi sento vuoto e debole. In questi giorni di trekking mi sono alimentato poco. Mangio una dopo l’altra le pastiglie energetiche, si assimilano in un baleno e solo l’ideale quando sei in crisi di fame.
Lo spettacolo intorno a me è eccezionale. Davanti a me ho le vette più alte della Terra: l’Everest, il Kyashar, lo Cho Oyo, il Kangtega, l’Ama Dablan, il Nupste, il Lhotse, il Baruntse, il Makalu, il Lhotbe Shar. La luce della luna è ancora intensa, non serve neanche la torcia frontale e godo della grandiosità di queste montagne.
Continuiamo a passi cadenzati e molto lenti, guidati da Mario, il capocordata, che detta i tempi di ogni passo e ogni fermata. La mente è focalizzata sul movimento ritmico delle gambe. L’ascesa è interminabile, nel ritmo blando dei passi si insinuano pensieri negativi. I piedi dolgono, e se avessi un principio di congelamento? Non sono l’unico in difficoltà; alcuni compagni della spedizione non se la sentono di proseguire e tornano al campo alto.
Comincia ad albeggiare, la temperatura sale e la luce come al solito allontana i demoni. Il più è fatto, e continuo dietro a Mario mentre ingoio una dopo l’altra le pastiglie energetiche. Arriviamo alla base del “naso”, l’ultimo breve tratto da fare con la piccozza, poi c’è la cima. Estrema, come i picchi di queste montagne, la mia soddisfazione.
Siamo in vetta, a 6.476 metri, roteo più volte su me stesso, inebriato dalla vista incredibile. Intorno al Mera Peak non ci sono rilievi vicini che ostacolano la prospettiva, lo sguardo è libero di vagare in tutte le direzioni e di ammirare il tetto del mondo, le alture leggendarie. L’Everest, che nell’immaginario collettivo è più simile a un’icona, è una delle punte della maestosa catena dell’Himalaya. Cerco di individuare anche le altre cime, dare i nomi alle vette per imprimerle nella memoria. Ma è già ora di scendere.
Ci incamminiamo verso il campo alto e ci ricongiungiamo con il gruppo dei compagni che non erano riusciti a fare la cima. Mangiamo qualche barretta mentre i portatori smontano il campo. Mario ha deciso che festeggeremo il traguardo più in basso, al Mera La, a 5.000 metri.
Il passo è una radura rocciosa; è giunto il momento di stappare con quello che offre il convento, ovvero qualche bibita gassata. Abbiamo bisogno di un rito celebrativo e tiro fuori il “Menalù-zee”, il canto corale che aveva accompagnato tutte le vittorie più belle della mia vita sportiva: dai lanci con il paracadute, passando per il rugby, fino alle adventure race. Sto spiegando a tutti cosa devono fare, sono molto indaffarato. O meglio, mi vedo indaffarato. Perché è come se fossi uscito dal mio corpo e mi stessi osservando da fuori.
Sono seduto su un sasso a quattro o cinque metri di distanza dal gruppo e guardo il me stesso che sta organizzando il canto. In un primo momento rimango atterrito, chi sono io? Quello seduto o quello in piedi, tra la gente? Urlo «menalù» e aspetto che mi rispondano «ZEE», poi di nuovo «menalù».
Mi guardo mentre incito i miei compagni, loro non sembrano essersi accorti di nulla. Io invece non so come gestire quello che mi sta accadendo, non so come uscirne, non so quali ripercussioni avrà. Allora torno con ancora più trasporto al canto. Sarà la terza volta che lo faccio ripetere a tutti, voglio che sia perfetto. Se sono io che orchestro la scena, allora perché mi vedo da fuori? L’allucinazione, o qualunque cosa sia stata, è durata per minuti. Poi Mario mi offre della coca cola e ci invita a rimetterci in cammino. Mentre siamo in fila indiana il mio doppione svanisce, sono tornato in me.
Questo momento straordinario durante il quale mi sono ritrovato a osservare me stesso e i miei compagni di viaggio dall’esterno, come se fossi uscito dal mio corpo. Questo tipo di esperienza è stato riportato da molte persone in diverse situazioni, ma sembra che l’altitudine elevata e le condizioni fisiche particolari abbiano potuto contribuire all’accadimento dell’esperienza extracorporea che ho vissuto.
L’Altitudine e il Basso Livello di Ossigeno
L’altitudine elevata può avere un impatto significativo sul corpo umano. A tali altitudini, la pressione atmosferica è più bassa e, di conseguenza, la quantità di ossigeno disponibile per il corpo diminuisce. Questa condizione, nota come ipossia, può portare a una serie di sintomi, tra cui stanchezza, vertigini, confusione mentale e allucinazioni.
Nel mio caso, è possibile che il basso livello di ossigeno nel mio organismo, accentuato dalla responsabilità del corpo causata dalla fatica e dalla fame, abbia contribuito all’esperienza extracorporea che ho vissuto. È importante notare che molte persone che si trovano in condizioni simili, come alpinisti o persone che praticano sport ad altitudini elevate, hanno riportato esperienze simili senza conseguenze di durata negativa.
Le Possibili Spiegazioni Scientifiche
Le esperienze extracorporee sono oggetto di studio e dibattito da parte di scienziati e ricercatori. Mentre non esiste ancora una spiegazione definitiva per queste esperienze, ci sono diverse teorie che cercano di fornire una base scientifica per comprenderle.
Una spiegazione potrebbe essere collegata all’attività del cervello e alla percezione della propria posizione nello spazio. Alcuni studi suggeriscono che l’esperienza extracorporea potrebbe essere il risultato di una disconnessione temporanea tra le informazioni sensoriali provenienti dal corpo e la percezione di sé stessi. In condizioni particolari, come l’ipossia, potrebbe verificarsi una variazione nella normale integrazione sensoriale, portando a un senso distorto di sé e del proprio corpo.
La mia Interpretazione Personale
Ho descritto la mia esperienza come un’allucinazione o un fenomeno causato dalle condizioni fisiche particolari che ho riscontrato. Questa è una spiegazione plausibile e coerente con ciò che è stato osservato in altre situazioni simili.
Va sottolineato che l’interpretazione personale di un’esperienza extracorporea può variare da individuo a individuo. Alcune persone attribuiscono tali esperienze a dimensioni spirituali, mentre altre potrebbero essere semplicemente prodotti dell’attività cerebrale. È un’area di studio che continua ad affascinare ricercatori e filosofi, e le spiegazioni possono essere soggettive e culturalmente influenzate.
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