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L’inganno dei ruoli: l’ego, la separazione e la manipolazione delle relazioni

Viviamo immersi in un grande teatro, dove fin dalla nascita ci vengono assegnati ruoli ben precisi: figlio, studente, professionista, genitore, partner, amico, cittadino. A questi si sommano maschere più sottili, generate dal bisogno di approvazione, appartenenza, affermazione, potere. L’ego, nel suo continuo bisogno di definirsi, si aggrappa a questi ruoli come fossero l’unica fonte d’identità, costruendo un sé frammentato, condizionato, illusorio.

Il problema non è tanto nel ruolo in sé, quanto nell’identificazione con esso. Quando dimentichiamo di essere qualcosa di più ampio del ruolo che stiamo interpretando, iniziamo a confondere ciò che facciamo con ciò che siamo. Questo ci allontana dalla nostra essenza, ci separa dall’altro e ci rende manipolabili o manipolatori.

L’illusione della separazione. L’ego separato si fonda su un presupposto: io sono altro da te. Da questa convinzione scaturiscono competizione, confronto, paura, attaccamento, controllo. Le relazioni si costruiscono non più sull’autenticità, ma sulla negoziazione dei ruoli: io faccio questo per te, tu fai quello per me. L’amore diventa contratto, la comunicazione diventa strategia, la presenza diventa condizionata. È in questo scenario che si inserisce la manipolazione: spesso inconsapevole, spesso reciproca.

Ogni volta che interagiamo da un ruolo, piuttosto che da una presenza consapevole, stiamo operando nella dimensione dell’ego. Così il genitore impone, il partner pretende, l’amico misura. Il sé autentico rimane sullo sfondo, spesso soffocato da aspettative e schemi. Eppure, una parte di noi sa che c’è qualcosa di più.

Relazioni come specchi o come gabbie: Una relazione può essere uno specchio che ci rivela o una gabbia che ci imprigiona. Dipende da quanto siamo presenti a noi stessi. Quando siamo identificati nei nostri ruoli, reagiamo invece che agire, proiettiamo invece che accogliere, difendiamo invece che condividere. In queste condizioni non amiamo l’altro per ciò che è, ma per ciò che rappresenta per il nostro ego: una conferma, una sicurezza, una conquista, un antidoto alla solitudine. Ma le relazioni autentiche quelle che curano e fanno evolvere nascono solo dal contatto profondo con il nostro essere. Lì non c’è più bisogno di interpretare, né di controllare. Lì l’altro non è più uno specchio deformante, ma un ponte verso l’unità.

La morte: la fine dei ruoli, l’inizio della verità: Nel momento della morte, ogni ruolo cade. Non siamo più madri, padri, figli, amanti, professionisti, leader, vittime o salvatori. Rimane solo ciò che siamo stati nell’essenza, nella verità profonda del nostro essere. È in quell’istante che si dissolve l’illusione della separazione. L’ego, che ha passato una vita a definire e difendere sé stesso, si sgretola. E ciò che emerge è l’unità, la connessione con il tutto, la coscienza indivisa.

Molti racconti di esperienze di pre-morte, viaggi onirici profondi o stati di espansione di coscienza confermano questa verità: non siamo isole, siamo gocce di un unico mare. Non c’è davvero un “io” separato da un “tu”, ma solo l’apparenza di una differenza funzionale, necessaria al gioco dell’esperienza. Al di là del velo, resta solo l’amore.

Dal ruolo alla presenza. Il nostro compito non è distruggere l’ego, ma riconoscerlo per quello che è: uno strumento. I ruoli hanno una funzione, ma non devono diventare prigioni. Possiamo vivere pienamente i ruoli della vita, senza mai dimenticare che siamo ben più ampi della maschera che indossiamo. Possiamo entrare nelle relazioni non per bisogno, ma per traboccamento. Solo smettendo di identificarci nei ruoli possiamo davvero incontrare l’altro, senza manipolarlo né farci manipolare. Solo allora l’amore, la gioia, la gratitudine e il perdono possono fluire. Solo allora possiamo prepararci a morire… senza paura, sapendo che non c’è mai stata davvero separazione. L’ego muore. L’anima ricorda.

Il Cercatore

Questo libro racconta la storia di una ricerca: dei propri limiti, di una forza interiore, di un equilibrio. E dimostra che il talento non è indispensabile per compiere un’impresa.

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